Il paesaggio è un bene sociale di cui prendiamo coscienza poco a poco perché si offre a noi con l’ovvietà e naturalità di essere una delle dimensioni stesse del nostro vivere e muoverci nello spazio. Il bambino inquadra con il proprio sguardo il mondo in cui vive: ciò che vede gli appare come l’unico modo possibile di essere del mondo stesso, e quello è per lui il “paesaggio”.
Il paesaggio è come l’aria. Bene naturale che ci circonda della cui purezza ci preoccupiamo come di una cosa ovvia perché la sua purezza è indispensabile per il nostro benessere e per la nostra stessa sopravvivenza. Ma non ci preoccupiamo dell’integrità del paesaggio con la stessa ovvietà con la quale lo facciamo per l’aria. Come mai? Che cosa hanno in comune l’aria e il paesaggio?
Il fatto che su di essi si può esercitare il possesso. Sia l’aria che il paesaggio sono beni comuni nella loro natura intrinseca: l’azione di uno o di poche persone può danneggiare sia l’aria, sia il paesaggio in modo irreversibile. Si può appestare l’aria con scarichi chimici (quelli delle auto, quelli delle fabbriche) così come si può danneggiare il paesaggio realizzando opere che ledono dei sentimenti sociali condivisi. Talvolta quello estetico attraverso la costruzione di qualcosa che altera una armonia e una coerenza pre-esistenti, talvolta attraverso la cancellazione di segni che rendono quel luogo significativo per la comunità che vi abita.
Paesaggio è una di quelle parole che viene usata sia nel linguaggio comune, sia da “specialisti” come geografi, geologi, paesaggisti, antropologi, urbanisti: qui vorrei tentare di gettare un ponte tra queste due sfere, mettendo a confronto ciò che “paesaggio” significa per gli abitanti dei luoghi e che cosa da esso si aspetta il viaggiatore. Infatti riconoscere il ruolo di ambedue questi soggetti in una prospettiva strategica è un passaggio obbligato per chi, in una forma o nell’altra, riveste un ruolo pubblico ed è tenuto a condurre una politica di governo dei luoghi e del paesaggio.
Il paesaggio e gli abitanti
Il paesaggio per gli abitanti è “un legame immediato con il luogo di appartenenza considerato nel breve cerchio di relazioni che salda tra loro i sentimenti di un complesso di famiglie nella organizzazione sociale fondata sulla condivisione di una cultura al cui centro sta un nucleo di valori essenziali in cui riconoscersi”, secondo una definizione di Ulderico Bernardi.
Questo legame immediato degli abitanti col luogo di appartenenza quando è vivo e consapevole costituisce il nerbo dell’identità della comunità e contribuisce a dare forma alle consuetudini sociali, all’architettura locale, alle modalità con cui si svolge l’attività agricola e di allevamento. Tutte queste attività umane messe in atto dalla comunità locale anno dopo anno, un secolo dopo l’altro, hanno dato ai luoghi una forma “coerente” che chiamiamo paesaggio. Ed è perché le cose sono autentiche e tra loro intonate che l’osservatore esterno coglie un senso di armonia che non di rado egli esprime nel linguaggio comune con l’espressione “bel paesaggio”.
Gli abitanti dunque sono gli infaticabili custodi e modellatori del paesaggio grazie a questo legame immediato con il luogo di appartenenza. Questo ruolo si regge su di un equilibrio antico ma delicatissimo, che non può essere sostituito con un surrogato introdotto dall’esterno.
Qualcuno crede che gli abitanti di un luogo mettano in atto una “intenzione” a curare l’amenità dei luoghi come una gentildonna a curare il proprio giardino. Questo è fuorviante perché il processo attraverso il quale il paesaggio appare “bello” è del tutto diverso. Quando Hans Weiss, direttore della Fondazione svizzera per la tutela del Paesaggio, in un testo del 1975 scriveva: “un abitante nella remota valle ticinese dell’Onsernone, mi spiegò una volta che per lui lo spettacolo dei ripidi fianchi boscosi delle montagne e delle tumultuose cascate non era affatto un paesaggio ma soltanto natura e che per lui non v’era cosa più deprimente”, che cosa vuol dire? Vuol dire che ciò che noi (intesi come osservatori esterni) chiamiamo “bello” non è l’espressione dell’azione intenzionale di un momento dato, ma il risultato sedimentatosi nel tempo di una serie di azioni di governo del proprio contesto compiute nel tempo da parte degli abitanti. (…)
Questo post è tratto dall’articolo di Francesco Alberti La Marmora, pubblicato nel 2004. Questo il testo integrale: Osservando il Biellese idee per un paesaggio accogliente