Il Museo del Tessuto a Prato: come è nato, che cosa può insegnare a Biella

Un museo che racconta la storia di un distretto industriale del tessile italiano. A Biella se ne parla da molto tempo. A Prato l’hanno già fatto e noi dell’Osservatorio siamo andati a visitarlo nel gennaio 2023.

Il Museo nasce dalla donazione di una collezione di oltre 600 frammenti di tessuti antichi (secc. XV-XVIII) che l’imprenditore Loriano Bertini regalò all’Istituto Buzzi nel 1975 con l’obiettivo che il patrimonio storico servisse di ispirazione creativa agli studenti e ai disegnatori tessili. Il museo poi ha incamerato le raccolte già presenti nella scuola dei libri campionario delle aziende storiche del territorio (secc. XIX/XX), generando un filone tematico che nel tempo si è arricchito grazie alle donazioni delle aziende.
La dotazione del Museo si è dunque generata nel tempo perché i pratesi hanno cominciato a tirare fuori da cassetti, armadi e cantine foto, pezze, campionari, documenti, macchinari…
Questo ci insegna quanto sia significativo – se si vuole fare un percorso autentico di riconoscimento -> memoria -> identità – operare in modo maieutico con gli abitanti, così che si sentano parte della storia raccontata. E’ importante inoltre non avere fretta, perché i tempi possono essere lunghi, anche molto lunghi. Un elemento, quello del tempo, che abbiamo già constatato nell’esperienza di Ivrea rispetto al tema dell’ex insediamento Olivetti.

Il museo è gestito da una fondazione che include il Comune di Prato, l’Unione Industriale Pratese, la Provincia di Prato, la Camera di Commercio e la banca Cariprato.
I lavori di restauro sono stati finanziati con fondi regionali ed europei.
Il primo passo che ha messo le basi per la realizzazione del recupero è stata la salvaguardia dell’immobile inserita nel Piano Regolatore Generale cittadino. Anche questo è un elemento comune con l’esperienza di Ivrea.
I proprietari originari dell’ex Cimatoria Campolmi, sede del Museo, avevano presentato una proposta di trasformazione radicale dell’immobile, che però fu rigettata dal Comune, il quale poi acquisì l’immobile.
La fabbrica Campolmi aveva chiuso definitivamente i battenti nel 1992 e il museo è stato aperto dieci anni dopo, nel 2002.
Questo ci insegna che il pubblico ha sempre un ruolo decisivo, non subordinato al privato e nemmeno paritario bensì superiore; un ruolo sovraordinato di indirizzo e visione strategica.
L’esperienza pratese dimostra poi che la partecipazione di fondi e istanze private, che provengono dall’alto (ex proprietari, associazioni organizzate) o dal basso (semplici cittadini) è necessaria così come lo è la capacità di arrivare, in modo corale, all’obiettivo finale. Se però le spinte provenienti dalla società civile non vengono colte dall’amministrazione pubblica che le traduce in norme – piani regolatori – e in progettualità complessiva, non si arriva in fondo al processo. Come Ivrea, anche Prato insegna inoltre che un riconoscimento del valore “alto”, oggettivo dell’insediamento in questione è una premessa utilissima e fondamentale nel definirne le funzioni e le tutele.

Il recupero dell’ex Cimatoria Campolmi di Prato ha portato, oltre all’allestimento del Museo del Tessuto, anche all’insediamento della biblioteca comunale – aperta anche la domenica pomeriggio e molto frequentata dagli studenti – con un bar adiacente, utilizzato anche come spazio di coworking, anch’esso popolato soprattutto da un target giovane.
Da notare che Prato non è Firenze, il centro cittadino alle 13 di una domenica di gennaio era assolutamente deserto ma il Museo rappresenta comunque un catalizzatore, anche e soprattutto per la comunità locale.
Nel Museo è presente inoltre un centro studi & ricerca sui tessuti storici. Questo ci insegna che la memoria da sola non basta, ma costituisce il pretesto per guardare a qualcosa di nuovo.

tabella
Njumero di visitatori al Museo del Tessuto.
Fonte: Rapporto Musei 2022 – Regione Toscana – https://www.regione.toscana.it/documents/10180/25323100/Rapporto%20Musei%202022.pdf/d263f911-3a60-d35f-6971-630691eaf3ba

Ci ha accompagnato nel Museo una giovane guida molto brava, la visita ha avuto molti punti dove poter sperimentare l’esperienza tattile. La collezione non è molto grande, sono di fatto due gallerie più quella dell’esposizioni temporanee. E’ incentrata soprattutto sul tema delle materie prime della filiera tessile (naturali – artificiali – sintetiche) molto ben illustrato e poi sulla storia del distretto, con particolare focus sul tema del riutilizzo della Lana.
Insomma, resta molto altro da raccontare sul tema dunque non ha senso dire «il museo ce lo ha già Prato non ha senso farne un doppione». Perché, per molti motivi, doppione non sarebbe. Un museo del tessile a Biella sarebbe semmai un altro punto di vista e anche una storia più ampia e articolata da raccontare.

Dalla visita e dall’incontro con i pratesi si percepiscono lo sforzo e la volontà di far sentire il Museo del Tessuto un progetto di tutti e per tutti gli abitanti della provincia. Una popolazione che, come per Biella, ha praticamente in ogni famiglia qualcuno che lavora o ha lavorato nella filiera tessile. Una campagna di affissioni trasmette a nostro avviso molto bene questo senso di “bene comune” del Museo rispetto alla città.
Per informazioni e per pianificare una visita vi rimandiamo alle informazioni sul sito web ufficiale del Museo.



Vi sono occasioni e vicende che hanno il pregio di meglio rappresentare la volontà, oserei dire la caparbietà, di una comunità di proiettare oltre il suo spazio ed il proprio tempo l’essenza stessa della propria identità, in una parola i caratteri fondanti che la contraddistinguono rispetto alle altre.
Vi sono poi situazioni che meglio di altre consentono ad una Amministrazione, ai suoi rappresentanti, di interpretare in modo più diretto e compiuto questa stessa volontà.
Il recupero di un reperto particolarmente significativo di architettura del lavoro, la consegna alla città di uno dei manufatti più importanti dell›archeologia industriale pratese, anche in ragione della sua ubicazione nel centro della città, la realizzazione in esso del Museo del Tessuto, condensa in sé queste caratteristiche dai preminenti connotati simbolici e a forte valenza di immagine.

Alfio Pratesi, assessore all’urbanistica e attuazione prg, nella prefazione al libro che racconta il recupero dell’ex Cimatoria Campolmi, sede del Museo di Prato

Lesson learnt – Che cosa abbiamo imparato

  • Un percorso di riconoscimento, memoria, identità che coinvolga gli abitanti è parte essenziale del processo di riqualificazione dei luoghi.
  • L’amministrazione pubblica ha un ruolo, non derogabile ad alcuno, di indirizzo e pianificazione strategica, sovroardinato anche rispetto alla componente privata.
  • Strumenti urbanistici che tutelino gli oggetti urbani e ne individuino le funzioni sono premesse fondanti e fondamentali per un recupero di valore del “bene comune” contenuto in quelle aree.
  • La rigenerazione di un luogo dismesso può avere tempi molto lunghi, nell’ordine di decenni. Ci sono molti esempi che fanno ipotizzare che la dimensione di questi processi sia “normalmente” di lunga gittata.
  • Quando si parla di grandi complessi industriali dismessi, inseriti in un contesto urbano, non si può semplicemente classificarli come “privati” e delegare quindi all’iniziativa privata ogni scelta sul loro utilizzo. Esiste comunque una dimensione di “bene comune” e di “interesse pubblico” che va individuata e salvaguardata a beneficio della collettività.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: